N° 70
1.
Kennedy
Space Center Florida. La sorpresa nel vedere vive e vegete le sue
presunte vittime fa sì che l’agente segreto Skrull di nome De’Lila ritorni alla
sua vera forma abbandonando quella di Salia Petrie.
-Voi…- esclama -… voi sapevate?-
-Non all’inizio.- spiega Abigail Brand,
direttrice dello S.W.O.R.D.[1]
dai capelli verdi come la sua uniforme -A dire il vero, avevo qualche sospetto…
ma è diventato certezza solo quando abbiamo trovato la bomba che avevi piazzato
sul nostro shuttle. Non immaginavi che avessimo i mezzi per individuarla,
peggio per te.-
A
dire la verità, era stato solo per caso che uno dei suoi agenti, David Adamson,
l’aveva trovata, ma è meglio che la Skrull creda il contrario.
-E avete organizzato la messinscena
dell’esplosione.- capisce De’Lila.
-Non è stato troppo difficile.- spiega ancora
la Brand -Dopo è stata solo questione di tempo prima di capire che eri stata
tu.-
Carol Danvers si precipita
contro la spia aliena e l’afferra per il collo.
-Che ne hai fatto di Salia?- le urla –L’hai
uccisa?-
Carol
è tentata di usare sulla Skrull i suoi poteri di Miss Marvel. In fondo tra i
presenti nella stanza solo Mike Rossi e Liz Mace non conoscono la sua doppia
identità… e su Mike Rossi si sbaglia.
-È viva, cagna terrestre.- replica
sogghignando De’Lila -La troverai a casa sua, legata al letto ma in buona
salute. Magari le è pure piaciuto. So che voi terrestri…-
Non
finisce la frase: un pugno di Carol la manda contro la parete.
-Se l’è cercata.- commenta l’ex agente segreto
militare.
De’Lila
guarda fissa davanti a sé e quasi senza accorgersene la mano di Mike Rossi
corre alla pistola e la punta alla nuca di Carol.
-No!- urla Liz Mace e lo colpisce al polso col
taglio della mano facendogli cadere l’arma.
-Cosa?- esclama Mike confuso come se si fosse
appena risvegliato,
-Ha dei poteri ipnotici.- spiega Liz -Ma
sembra che funzionino solo sugli uomini.-
-Bene.- commenta Abigail Brand immobilizzando
la Skrull con manette speciali -Ce ne occupiamo noi ragazze allora.- le fissa
al collo un inibitore neurale -Questo le impedirà di usare i suoi poteri… tutti
i suoi poteri. Più tardi la interrogheremo e poi potremo finalmente partire.-
Con
meno complicazioni, spera Liz.
South
Bronx, New York. Un bel po’ di tempo fa. Una persona
anziana sta tornando a casa dopo aver fatto quattro chiacchiere con gli amici
al bar: si è attardato un po’ troppo però, non ha mai fatto così tardi. Di
solito questa è una zona tranquilla, ma anche quartieri come questo hanno le
loro mele marce.
Improvvisamente
quattro giovani, come spuntati dal nulla, circondano il vecchio con intenzioni
decisamente non amichevoli: uno di loro, per confermare ulteriormente il fatto,
estrae un coltellino. L’anziano avrà al massimo venti dollari nel portafoglio,
ma a loro non interessa. E più che la rapina assaporano la paura dipinta sul
volto del vecchio.
Poi
dall’alto cala la speranza: una figura avvolta in uno sgargiante costume uscito
da un’epoca ormai quasi dimenticata. Senza sparare frasi ad effetto o dire
battute sarcastiche, si lancia contro i quattro malviventi, evidentemente
impreparati. Quello col coltello viene subito disarmato e gli viene fatta
sbattere la testa contro un muro. Gli altri provano a reagire, ma non possono
fare molto. La furia del vigilante appena intervenuto sembra, ed è,
incontenibile. Col risultato che alla fine il numero di costole rotte dei
malviventi è decisamente alto.
Poi
l’eroe si volta verso la persona che ha appena salvato, un afroamericano come
lui.
-Sta bene?- chiede.
Con
sua sorpresa, l’uomo non pare felice.
-C’era bisogno di
usare tutta questa violenza?- ribatte
-Volevano rapinarla,
probabilmente ferirla. O peggio.-
-E la tua reazione è
stata decisamente sproporzionata. Voi giovani… avete già dimenticato la lezione
di moralità del Reverendo King: non si risponde alla violenza con maggiore
violenza. Un eroe come Capitan America avrebbe… Aspetta, il tuo costume, l’ho
visto nei libri di storia.-
-Finalmente lo hai
notato. Sono Bucky.-
Ancora
una volta l’eroe rimane deluso dalla reazione dell’altro.
-Dovresti doppiamente
vergognarti, allora. Primo, per infangare la memoria di un grande eroe del
passato; secondariamente, e mi stupisce che tu non lo sappia, perché nei
confronti dei neri come noi ‘Bucky’ è usato come nomignolo offensivo in certe
zone di questa nazione.-.
-Lo so benissimo,
invece. Ma io ho un buon motivo per continuare questa tradizione…-
Inizialmente
è tentato di dirgli che lui è un discendente diretto del primo Bucky, poi
desiste: inutile sprecare altre parole. Perché la gente non capisce che quello
che sta facendo è molto, molto importante per la sua gente?
-La polizia sta per
arrivare.- dice allontanandosi.
-Non farti guidare dalla
violenza.- lo consiglia il vecchio -Se vuoi davvero diventare un eroe.-
Harlem, Manhattan, New York. Oggi. Perché ha ricordato proprio
quell’episodio e perché proprio adesso? Patriot non sa dirlo. Forse è qualcosa
che la sua coscienza cerca di dirgli. Ora come ora, non ricorda nemmeno perché
avesse deciso di farsi passare per il discendente del primo Bucky. Quando lo ha
conosciuto[2]
non ha avuto il coraggio di dirgli di quella bugia. Chissà, forse sperava di
avere quella visibilità che suo nonno Isaiah non aveva mai avuto.
-Non sognare ad occhi
aperti ragazzo.- gli dice Falcon.
Elijah Bradley accantona i suoi
pensieri e si concentra su quel che vede: un’altra palazzina sventrata da
un’esplosione. Da quel poco che riesce a capire era la sede elettorale di
qualcuno.
Falcon entra precipitosamente nei
locali urlando:
-Sarah!-
-Sono qui.- risponde
una voce di donna.
Sarah Casper è intrappolata da una
trave.
-Ora ti libero.- le
dice suo fratello.
I suoi sforzi di sollevare la trave
non portano a nulla, poi arriva Patriot.
-Ti aiuto io.- dice.
Insieme riescono a sollevare la
trave quanto basta perché Sarah riesca a sgusciare da sotto, poi Falcon la
afferra saldamente tra le braccia.
-Qualcosa di rotto?-
le chiede.
-Non… non credo.-
risponde lei.
Falcon si rivolge a Patriot:
-Io la porto in
ospedale, tu pensa agli altri feriti.-
Prima che il ragazzo possa
ribattere, Falcon è già volato via.
2.
Harlem, Manhattan,
New York. Belinda Scott sente le orecchie ronzare mentre
si rialza da terra dove l’ha sbattuta lo spostamento d’aria dell’esplosione.
-Mr. Raymond....
avvocato!- esclama.
-Sono qui.- risponde
l’avvocato di colore Frank Raymond mentre prova a scrollarsi la polvere dal
vestito -Sto bene. Se la bomba fosse esplosa più vicina non direi lo stesso.-
-Ma cosa è successo?-
chiede Linda.
-Le tensioni razziali
al lavoro.- replica Raymond -Io le conosco bene. Ci ho costruito sopra la mia
intera carriera e non sempre ne vado fiero. Ci sono cose che potrei raccontarle
al riguardo.-
-Lo faccia allora.
Sono qui per questo… ma dopo che avrò spedito il mio servizio sull’esplosione
di oggi o il mio capo mi mangerà viva.
Ma Frank Raymond non la sta ascoltando.
I suoi pensieri sono già corsi al recente passato.
/
Manhattan, New York. Pochi mesi fa.
Come
entra nella redazione di Now, Jeff Mace viene accolto dai soliti rumori:
vociare di persone che gridano al mondo di essere in ritardo col pezzo, ticchettio
di dita che premono tastiere di computer, fotografi che esaminano i loro
rullini e le loro macchine fotografiche, fotocopiatrici che sembrano non
doversi fermare mai… e molto altro ancora. Sono rumori a cui ormai è abituato,
che gli piacciono, perché nel loro piccolo gli ricordano il lato umano
dell’eroe che è.
-Oh, finalmente sei
arrivato.- lo accoglie Joy Mercado.
Oggi
deve essersi alzata col piede sbagliato, pensa Jeff, oppure siamo al
ventottesimo giorno.
-Charlie ti sta
cercando da mezz’ora, ti vuole nel suo ufficio.-
-Agli ordini, signor
comandante.- risponde Jeff sorridendo.
-Non sto ridendo.-
Sì, è decisamente il ventottesimo giorno.
Jeff
bussa alla porta dell’ufficio personale di Charlie Snow ed un imperioso avanti
lo invita ad entrare.
-Oh, ragazzo, siediti
pure.- dice l’anziano giornalista -Il nostro mondo è in subbuglio ultimamente
con tutti questi avvenimenti: supereroi ricercati dalla legge, invasioni
aliene… c’è n’è per tutti i gusti. Sono ancora buoni i tuoi rapporti coi
Vendicatori?-
-Sì, direi proprio di
sì.- afferma il ragazzo.
-Riusciresti allora
ad intervistare almeno uno di loro in merito al ritorno di Wasp, magari lei
stessa? Finora hanno tenuto tutti le bocche cucite.-
Jeff
Mace è diventato bravo a fingere: nel suo mestiere, l’altro mestiere, è
fondamentale, altrimenti avrebbe già dovuto rinunciare ad avere una identità
segreta. Dunque seppur a fatica trattiene un moto di tristezza: perché per lui
Janet Van Dyne era più che una eroina o una compagna di squadra. Era una cara
amica, scomparsa in modo crudele, che non meritava quella fine. È stato bello
riaverla di nuovo tra loro, anche se con l’amnesia.
-Avranno le loro
buone ragioni per non parlare.- dice infine
-Scusa se sono
schietto e diretto con te, ma dove pensi di arrivare con questo atteggiamento?
Il mestiere del giornalista impone anche di fare cose spiacevoli, è vero, ma
necessarie per dare la giusta informazione alle persone.-
-E quale sarebbe in
questo caso la giusta informazione?- sbotta Jeff -Mi direbbero che sono felici
del suo ritorno come erano dispiaciuti per la sua perdita, mi darebbero di lei
quell’immagine di donna straordinaria che probabilmente è davvero nella vita…
tutte cose che già sappiamo. Non faremmo altro che andare a scavare nel privato
dei Vendicatori: è davvero questo ciò che vogliono i nostri lettori? Io non
credo affatto.-
Charlie
Snow protende avanti le mani, come in un gesto di difesa.
-Ehi, ragazzo,
calmati: sembra quasi che tu in questa vicenda abbia un interesse per…-
Improvvisamente il suo sguardo va a scavalcare
Jeff Mace, per notare qualcosa aldilà della sua spalla.
-Oh no!- esclama,
uscendo precipitosamente dall’ufficio.
Nella
redazione è appena entrato un imponente e muscoloso afroamericano vestito con
un elegantissimo doppiopetto, che fa subito sentire la sua presenza iniziando a
sbraitare:
-Voglio parlare
subito col direttore di questo fogliaccio!-
Dietro
di lui arriva un altro afroamericano, un po’ meno robusto, che gli posa una
mano sulla spalla nel vano tentativo di placare la sua ira.
-Sono io il direttore
qui e la conosco bene, signor Raymond.- si fa avanti Charlie Snow -Le sue
minacce non ci impressionano.-
In
risposta l’uomo sbatte su un tavolo una copia di Now!
-Molto bene. Non
parliamo di minacce, parliamo di diffamazione: quella che voi avete commesso
nei confronti di decine di afroamericani che venivano ospitati nel centro
sociale Ayers. Un centro sociale che è stato chiuso con un sopruso da parte
della polizia e della magistratura: eppure voi elogiate il loro operato e fate
apparire i ragazzi come dei criminali. Chi è il fascista che ha scritto
quest’articolo?-
-Sono stata io.- dice
Kat Farrell prima di pentirsene.
-Allora verrà
denunciata.-
-Ma quel centro sociale
era in realtà un luogo per lo spaccio della droga! Ci sono decine di prove.-
ritrova coraggio la giornalista -Lei è offuscato dalla sua ideologia
supremazista!-
-Lei dice? Dunque
tutti i quarantadue ragazzi ospitati erano spacciatori? Me lo provi, qui
all’istante, visto che le verifiche a suo dire ci sono.-
-Adesso basta.-
interviene Robbie Robertson che è appena entrato in redazione per fare quattro
chiacchiere con Charlie Snow ed è arrivato giusto in tempo per vedere quel che
sta succedendo.
-Volevi il direttore,
Raymond?- afferma con tono duro –Beh ora ne hai davanti. A te due. Il Daily
Bugle sostiene i colleghi di Now. Kat
Farrell scrive anche per noi. Abbiamo solo fatto un servizio ed esposto i nudi
fatti di cronaca. Non c’era alcun intento razzista, nessuna dietrologia.-
-Dovresti
vergognarti, fratello: il tuo capo di certo non è a favore della parità dei
diritti- ribatte Raymond.
-Questo è falso.-
-Ah sì? Allora
sentiamo: quanti afroamericani hanno lavorato qui negli ultimi anni? Perché
vedi, in questa redazione io vedo solo te, Robertson. Davvero non avete alcuna
forma di pregiudizio?-.
-Ti esorto caldamente
ad andartene.- taglia corto Robbie -Altrimenti sarai tu ad essere denunciato:
per calunnia, minacce, molestie ed interruzione di pubblico servizio.-
-Non finisce certo
qui” conclude Raymond uscendo, seguito a ruota dal suo muto assistente.
-Ma chi era
quell’ossesso?- si interroga Jeff Mace.
-Ragazzo, hai appena
fatto la conoscenza di Frank Raymond.- spiega Joy Mercado -Uno degli avvocati
specializzati nella tutela dei diritti civili più tosti che la storia della
giurisprudenza ricordi. Le sue battaglie solitarie per affermare la parità di
diritti degli afroamericani sono già entrate nella leggenda: come quando si è
incatenato al cancello della Casa Bianca perché venisse rilasciato un detenuto
che a suo dire era innocente. Ed aveva ragione, peraltro. A sua volta
denunciato più volte per reati minori come rissa oppure calunnia, eppure sempre
scagionato: perché Raymond può essere un bastardo, ma la sua abilità di
avvocato è innegabile.-
-E quel suo
assistente?-
-Suo fratello Ronald.
Un uomo senza arte né parte che vive nella sua ombra.-
-Quello che ha detto…
è vero?-
Il fatto che abbiamo
avuto pochi dipendenti afroamericani non significa certo che siamo razzisti,
no? No?-
La domanda rimane nell’aria senza
risposta.
Manhattan, New York. Oggi. Perché ha
ripensato proprio a quell’avvenimento? Si chiede Joy Mercado scendendo dalla
moto di Ace. Forse perché è stata una delle ultime volte che ha visto Jeff Mace
e ancora le brucia di averlo trattato male. Perché è stata sempre così stupida
e orgogliosa da non volergli mai dire quali erano i suoi veri sentimenti per
lui? Ora è troppo tardi.
-Salgo solo un
attimo.- dice -Tu puoi aspettarmi qui.-
Come al solito Ace si limita ad un
cenno del capo. Joy sale sino al suo appartamento ma appena entrata si blocca:
seduta su una poltrona c’è una ragazza bionda che indossa una calzamaglia verde
ed una maschera dello stesso colore.
-Non abbia paura,
Miss Mercado.- le dice con voce calma -Non intendo farle del male… anzi sono
venuta a dirle che non corre più pericoli: gli attentati alla sua vita sono
stati un errore che non si ripeterà.-
-Chi… chi sei tu?-
chiede Joy con un chiaro accento di preoccupazione.
-Il mio nome non ha
importanza. Quel che importa è che stia lontana da affari che non la
riguardano. Non potrò più garantire la sua incolumità altrimenti.-
Senza esitare la ragazza si tuffa
dalla finestra aperta da cui è quasi certamente entrata,
Joy si precipita al davanzale e la
vede allontanarsi aggrappata ad una specie di aliante.
Si gira e quasi fa un balzo nel
vedersi davanti Ace.
-Sei qui.- mormora
-Non so come, ma hai capito che c’erano guai e sei venuto… per me. Stringimi
per favore.-
Ace non ha alcuna difficoltà ad
accontentarla.
3.
Kennedy Space
Center Florida. Liz Mace ha già vissuto questo momento:
la partenza per lo spazio. Stavolta, però, non ci saranno richiami all’ultimo
minuto e false esplosioni in volo, stavolta si parte sul serio.
C’è un passeggero in più stavolta:
la Skrull che impersonava Salia Petrie.
-Ce ne occuperemo
nella nostra stazione spaziale.- ha detto sibillinamente Abigail Brand.
L’ultima a salire è Carol
Danvers-Whitman che si è fermata a salutare la vera Salia Petrie ed altri
vecchi amici.
-Scusate.- dice
salendo ed accennando un sorriso.
-Se siamo tutti
pronti, possiamo partire.- annuncia la Brand.
La navicella si stacca dal suolo. Il
viaggio è cominciato.
Harlem, Manhattan, New York. Quando
Belinda Scott e la sua troupe arrivano nei devastati uffici elettorali di Sam
Wilson Falcon è già volato via da un pezzo e Patriot si aggira ancora tra i
detriti.
-Tu sei Patriot,
l’eroe del South Bronx, vero?- gli chiede Linda -Cosa rispondi alle voci
secondo cui tu saresti afroamericano?-
Eli Bradley ha quasi voglia di
rispondere con rabbia: “Sì, sono nero e allora?” ma si trattiene. Alla fine
replica:
-Farebbe qualche
differenza lo fossi… o se fossi bianco o ispanico o Nativo Americano? Se fossi
ferito, il mio sangue non sarebbe forse rosso come il suo? Non dovrei essere
giudicato per ciò che faccio piuttosto che per il colore della mia pelle?-
-Beh… io…-
In quel momento ecco arrivare un
gruppo di Figli del Serpente che comincia a sparare sulla folla.
Patriot usa il suo scudo per
proteggere se stesso e la giornalista poi si lancia in avanti.
-Non ho tempo per le
interviste.- dice -C’è gente che ha bisogno di aiuto.-
Da qualche parte sopra il pianeta Terra. La
vista della Terra che si allontana è affascinante per Liz, una vista fuori
dall’ordinario per lei. Ha visto cose insolite nei panni di Capitan America sia
da sola che con i Vendicatori ma questo…
-Bello eh?- a parlare
è stato l’agente dello S.W.O.R.D. David Adamson -È una vista che non manca mai
di affascinarmi.-
-Ne ha fatti molti di
viaggi nello spazio?- gli chiede Liz.
-Abbastanza.-
risponde l’uomo con voce quasi sognante –Sì… abbastanza.-
Con la coda dell’occhio Liz vede
Mike Rossi avvicinarsi a Carol Danvers. Il linguaggio del corpo non mente: tra
quei due c’è stato qualcosa in passato, qualcosa di serio. Ma perché dovrebbe
importarle? Dovrebbe, casomai, essere un problema per il marito di quella donna
non per lei.
-Siamo in vista della
stazione spaziale.- annuncia Abigail Brand.
4.
Harlem, Manhattan,
New York. L’uomo di colore calvo e con barba e baffi
scuri rientra nella sua stanza e getta sul letto una valigetta di pelle nera.
La apre e contempla ciò che c’è al suo interno: un fucile di precisione con
mirino telescopico accuratamente smontato, un’arma da cecchino.
Con i movimenti rapidi e precisi di
chi lo ha già fatto più di una volta l’uomo riassembla il fucile e si avvicina
ad una finestra. Usa il mirino per inquadrare un passante e accarezza il
grilletto… che scatta a vuoto non essendoci proiettili nel serbatoio.
-Bang sei morto.-
sussurra l’uomo sogghignando, poi si ritira dalla finestra e smonta di nuovo
l’arma riponendola nella sua custodia.
Ora è pronto per il suo incontro col
suo vecchio amico Snap.
La Vetta. Stazione Spaziale dello S.W.O.R.D.
Il trasbordo avviene senza incidenti e Abigail Brand affida la spia
Skrull ad alcuni agenti che la portano via.
Liz si guarda intorno. Nei panni di
American Dream prima e di Capitan America poi è stata a bordo dell’Eliveicolo
dello S.H.I.E.L.D. ma questo è… è diverso.
-Impressionata?- le
chiede l’agente David Adamson -Non si vergogni, capita a tutti la prima volta…
me compreso.-
-Lei è un veterano,
suppongo.- replica lei.
-Insomma… prima di
unirmi allo S.W.O.R.D. avevo fatto solo poche missioni con la NASA ma ora...
beh, mi sento come se lo Spazio fosse la mia vera casa.-
-Se avete finito con
le chiacchiere…- interviene Abigail Brand -… volevo dirvi che avete mezz’ora
per rinfrescarvi, poi vi aspetto in sala riunioni… senza ritardi.-
-La sua cordialità mi
lascia sempre senza fiato, Agente Brand.- commenta divertito Mike Rossi.
-Direttore Brand per
te, colonnello… e ora vi rimangono solo 29 minuti.-
Mentre sono accompagnati ai loro alloggi,
Mike Rossi commenta:
-La gentilezza della
Cara Abby è proverbiale, non credete?-
-Non cambi mai, vero
Mike?- ribatte Carol Danvers.
-Mi conosci bene,
Carol.- replica Rossi sorridendo.
Ok… c’è stato davvero qualcosa tra
quei due, pensa Liz… ma perché dovrebbe importarle?
Non ha il tempo di approfondire
queste riflessioni: un’improvvisa esplosione scuote la stazione spaziale e Liz
si trova proiettata contro una parete.
-Un attacco!- esclama
Carol Danvers e corre verso l’origine dello scoppio.
Mentre si allontana un lampo di luce
sembra avvolgerla ma Liz non ci bada: è troppo preoccupata per Mike Rossi. Si
china su di lui e si tranquillizza: è solo svenuto dopo aver sbattuto contro
una parete. Non ha perso sangue e con un po’ di fortuna si risveglierà solo con
un forte mal di testa.
Liz si rimette in piedi. Se ci sono
guai sarà meglio affrontarli vestita per l’occasione. In pochi minuti si è
cambiata in Capitan America e con in pugno il suo scudo corre lungo il
corridoio sulle orme di Carol Danvers.
La scena che si presenta ai suoi
occhi è quella della supereroina chiamata Miss Marvel che sta combattendo
contro una squadra di uomini armati vestiti di una tuta rossa e dalla pelle
gialla.
Senza esitare Cap lancia il suo
scudo scompaginando gli avversari.
Base Navale di Richmond, Virginia.
Franklin Mills svuota la bottiglia di whisky nel lavandino del suo alloggio.
Stava per cedere alla tentazione dopo aver sentito della probabile morte di Liz
Mace, ma alla fine ce l’ha fatta a resistere. Liz sarebbe fiera di lui… se
gliene importasse qualcosa. Per fortuna le notizie della sua morte erano
esagerate: Liz è viva ed in buona salute e lui ne è molto felice.
Franklin si fa una doccia
ristoratrice ed è ancora sotto l’acqua quando il suo cellulare comincia a
squillare.
Non risparmiando le imprecazioni il
giovane ufficiale corre a rispondere:
-Cosa? Sì… certo… tra
mezz’ora andrà benissimo, signore.-
Ancora gocciolante, Franklin Mills
fissa la sua divisa pulita stesa sul letto e scuote lentamente la testa.
5.
La Vetta, Stazione Spaziale dello S.W.O.R.D.
Senza perdere tempo Capitan America salta in mezzo agli aggressori, recupera il
suo scudo mentre è ancora a mezz’aria, evita i colpi sparati da una delle
strane armi degli avversari, usa lo scudo per pararne altri e
contemporaneamente sferra due calci gemelli ad altri due.
-Bella performance.-
commenta Miss Marvel mentre abbatte due dei suoi antagonisti -Sono
impressionata… Capitano.-
-Grazie.- replica Liz
Mace continuando a combattere -Chi sono questi tizi comunque?-
-Aakon: una razza
molto bellicosa che vive all’altro capo della Via Lattea… più o meno.-
-Capito. E che
vogliono qui?-
-Non me l’hanno detto
ma ho la sensazione che anche loro vogliano il cristallo di Cavorite.-
-Perché non sono
sorpresa?-
Mentre
parlano le due donne hanno steso gli avversari.
-Bel lavoro.- dice
Miss Marvel sorridendo all’indirizzo di Capitan America -Potrei chiederti come
ha fatto Capitan America a salire a bordo e che ne è stato di una certa bionda
ufficiale dei Marines.-
-Ed io potrei
chiederti che fine ha fatto Carol Danvers…- ribatte Liz -… ma siamo entrambe
Vendicatrici e abbiamo giurato di rispettare la privacy dei nostri compagni di
squadra.-
-Touché. Niente
domande allora… a parte una: come sta Mike Rossi?-
-A parte un
bernoccolo in testa, starà benissimo una volta sveglio.
-Non mi preoccupo,
allora: ha sempre avuto la zucca dura.-
Il sorriso di Miss Marvel si spegne
improvvisamente lasciando il posto ad un’espressione perplessa.
-Cosa c’è?- le chiede
Cap.
-Non mi piace.-
risponde lei -È stato troppo facile. Questi erano troppo pochi per un assalto
serio e hanno agito troppo scopertamente per un’azione di commando. Non vorrei
che…-
Un’altra esplosione scuote la
stazione spaziale, subito seguita da altre.
-Dovrei cambiare nome
in Cassandra.- commenta Miss Marvel prendendo il volo -Tu seguimi… se riesci a
starmi dietro.-
-Se riesco…? Ora
vedrai.-
Liz Mace si mette a correre seguendo
la scia fotonica della sua compagna.
Hell’s Kitchen, Manhattan, New York. Oggi.
Sam Wilson esce dall’ambulatorio medico in
compagnia di Claire Temple e del dottor Noah Burstein. La sua testa è
inquadrata in pieno dal mirino telescopico di un fucile da cecchino ad alta
precisione.
L’inquadratura si fa più stretta
sulla fronte di Sam e l’uomo di colore il cui dito sfiora il grilletto
sogghigna e dice a bassa voce:
-Bang… sei morto.-
La Vetta, Stazione Spaziale dello S.W.O.R.D.
È un vero e proprio attacco dall’esterno: un’astronave Aakon sta bersagliando
la stazione senza risparmio.
Dal
ponte di comando Abigail Brand impreca silenziosamente: proprio ora i sui
agenti superumani dovevano essere impegnati in missione altrove.
-Situazione?- chiede.
-Gli scudi reggono
per ora.- risponde uno degli agenti.
-Altri infiltrati?-
-Almeno una squadra.-
ammette l’agente –Stiamo cercando di intercettarla.-
-Vogliono il
cristallo.- commenta Abigail -A quanto pare tutti sanno che ce l’abbiamo. La
sicurezza del Kennedy Space Center è un vero colabrodo.-
-Vado ad
occuparmene.- dice David Adamson.
Prende con sé una piccola squadra e
pochi minuti dopo sono davanti alla sala dove è custodito il cristallo di
cavorite dove trovano Capitan America che combattendo contro una pattuglia di
Aakon.
Liz Mace ha perso il contatto con
Miss Marvel ma si è imbattuta contro i soldati Aakon e quando ha capito cosa
volevano fare li ha affrontati. Per fortuna quegli alieni preferiscono
combattere a capo scoperto e con tute leggere. Pur essendo tecnicamente
disarmata, Capitan America è riuscita a tener loro testa. L’arrivo degli agenti
dello S.W.O.R.D. ha dato loro il colpo di grazia.
-Capitan America!-
esclama Adamson -Cosa ci fa qui?-
-Io… uh… sono qui per
conto dei Vendicatori.- risponde Liz imbarazzata.
-Stanno arrivando?-
-No, purtroppo.
Sembra che le comunicazioni con l’esterno siano impossibili.-
-Buono a sapersi.-
Con una mossa rapida Adamson spara
contro Cap sbattendola contro una parete, poi si gira contro gli altri
stupefatti agenti abbattendoli in rapida successione.
Senza perdere tempo apre la porta
del locale e vi entra dirigendosi verso la teca del cristallo di cavorite.
Si ferma a contemplarlo, poi gli
punta contro la sua arma.
-Per la gloria dei
Kree.- sussurra e preme il grilletto.
CONTINUA
NOTE
DELL’AUTORE
Per la prima volta abbiamo
avuto Capitan America alle prese con tematiche cosmiche, spero che la novità vi
sia stata gradita. Ma intanto andiamo con le note:
1)
Innanzitutto un ringraziamento sincero a
Fabio Volino che ha scritto la sequenza di Patriot in veste di Bucky e quella
alla redazione di Now con l’Avvocato Frank Raymond, due sequenze che avranno
conseguenze interessanti in futuro.
2)
Che Capitan America e Miss Marvel
scoprissero le loro rispettive identità segrete era quasi inevitabile visto il
contesto.
3)
Gli Aakon sono una razza aliena che
abita un settore della Via Lattea. Sono stati introdotti da Arnold Drake &
Don Heck su Captain Marvel Vol. 1° #8 datato dicembre 1968.
4)
Chi è il misterioso uomo di colore che
minaccia Sam, anzi “Snap, Wilson? Ne saprete di più nel prossimo episodio. A
proposito del quale…
… il passato riemerge
per Sam Wilson e dal passato arrivano anche nuovi misteri mentre Capitan
America è presa in mezzo ad un intrigo intergalattico. In più: l’atteso (da
chi?) ritorno del Comandante America.
Carlo